Probabilmente non è un caso che questa mattina la borsa di Hong Kong stia progredendo di oltre il 4%. Da oggi, come noto, non è più prevista l’obbligatorietà dell’utilizzo delle mascherine: un elemento che ha un valore più che altro psicologico, ma che di certo non impatta sull’economia. Ciò che invece ha conseguenze tangibili è il dato sull’attività manufatturiera cinese, pubblicato questa notte. A febbraio, infatti, è stata segnata la più rapida espansione da 11 anni a questa parte: per trovare ritmi analoghi, infatti, bisogna scorrere il tempo sino all’aprile 2012.
La fine delle restrizioni no-Covid, laggiù veramente rigorose, sta spingendo la crescita cinese come auspicato dal Governo, se non in misura maggiore, come conferma l’indice PMI (quello che misura la fiducia dei responsabili degli acquisti delle maggiori aziende del Paese), salito dal 50,1 di gennaio al 52,6 di febbraio (ricordiamo che lo “spartiacque” tra espansione e recessione è 50). Il 2022 è stato uno dei peggiori anni che si ricordi per l’economia del “dragone”, con la “tolleranza zero” che ha impedito produzione, spostamenti, consumi, export.
L’economia globale sta vivendo, quindi, una sorta di “decoupling”: tutto lascia pensare che da una parte ci sia un’accelerazione forte, in grado, se non di colmare, almeno di recuperare parte del gap dovuto al “fermo macchine”. Dall’altra, invece, si fa nuovamente largo la preoccupazione che i dati macro (in primis, ancora una volta, l’inflazione) non siano così positivi come previsto, costringendo “chi di dovere” a nuovi, persistenti interventi rivolti a “depotenziare” il pericolo, come confermano le parole di Philipe Lane, membro del board BCE. Seppur ritenuto un moderato (una “colomba”, rievocando la contrapposizione con i “falchi”, lo schieramento più intransigente), in una dichiarazione a Reuters ha detto che “avremo bisogno di (un rialzo) di almeno 50 punti (la prossima riunione del Consiglio BCE è fissata per il 16 marzo), portando il tasso sui depositi dall’attuale 2,50 al 3%. Parole che fanno il paio con quanto affermato, poche ore prima, dalla Presidente Christine Lagarde in un’intervista al principale quotidiano economico-finanziario indiano. E i primi, impietosi numeri sull’inflazione in Europa, aggiornata a febbraio, sembrano dar ragione a chi spinge per la “linea dura”.
In Francia e Spagna, i primi Paesi a rendere noto l’andamento dei prezzi a febbraio, l’inflazione non solo non si è fermata, ma ha addirittura “rialzato” la testa. Nel Paese d’oltralpe, rispetto alle attese del 5,8% e la chiusura di gennaio al 6%, i prezzi sono saliti del 6,2%. Non diverso il dato sull’inflazione armonizzata, quella utilizzata per definire l’indice dell’area €), in crescita a febbraio al 7,2% verso il 7% di gennaio.
Analogamente, in Spagna la crescita è stata del 6,1% contro il 5,9% di gennaio (identico il dato sull’inflazione armonizzata).
La diminuzione dei prezzi dell’energia, quindi, non sembra sufficiente a “bloccare” la crescita dei prezzi. Rimane confermata, ancora una volta, la differente ricaduta sulla “velocità di trasmissione” dei prezzi dell’energia : molto rapida quando si tratta di rialzi, più lenta quando accade l’opposto. Una volta acquisiti, diventa difficile spingere al ribasso i prezzi. Da qui la necessità di abbinare politiche monetarie che scoraggino i consumi, questa sì leva efficace per rallentare la corsa. Che però, e questo è il rischio, non si limita solo a quella, come ben sanno i banchieri centrali, memori anche del fatto che negli anni 70 ci vollero quasi 10 anni per vincere la battaglia.
Se, come appare ormai certo, a metà marzo i tassi BCE saranno al 3%, diventa assai probabile che il “pivot”, in Europa, passi dal 3,5% al 4%, mentre in USA potrebbero arrivare al 5,3%, come lasciano intendere i movimenti sui Treasury, con il rendimento di quello a 6 mesi che ieri ha superato, per la 1° volta dal 2001, il 5.10%.
Come detto, giornata euforica per la borsa di Hong Kong, con l’Hang Seng che svetta dall’alto del + 4%. A distanza seguono Shanghai, a + 1% e il Nikkei, quasi al “palo” (+ 0,26%). Positive anche la Corea del Sud (Kospi + 0,4%) e l’India (Mumbai + 0,5%).
I futures si muovono intorno alla parità, con maggior vivacità in Europa (Eurostoxx + 0,25%).
In recupero il petrolio, con il WTI texano a $ 77,68, + 0,70%.
In leggero ribasso il gas naturale Usa, a $ 2,731, – 0,73%.
Si riaffaccia verso i $ 1.850 l’oro, a $ 1.842,8 (+ 0,24% questa mattina).
Spread stabile, intorno ai 181 bp.
A far alzare il rendimento del BTP (4,45%) il bund tedesco, al 2,63%, massimo dal 2011, con quello a 2 anni al 3%, livello più alto dal 2008.
Treasury Usa 3,94%: in Usa l’inversione della curva ha raggiunto, come in parte anticipato, punte mai viste negli ultimi anni, con i titoli a 3 mesi al 4,85%, a 6 il 5,14, a 1 anno il 5%, a 2 anni il 4,80%.
€/$ a 1,0612, con l’€ che continua il suo lento recupero.
Bitcoin a $ 23.723, in rialzo di oltre il 2,5%.
Ps: domenica riprende la F1. Non si sa se la Ferrari tornerà a vincere. Ma di certo il campionato parlerà più italiano. Da quest’anno, infatti, sarà possibile osservare le gare ancor più dal “punto di vista” del pilota. Per ogni Gran Premio 6 piloti avranno un casco in cui verrà inserita, all’altezza degli occhi, una microcamera di 8 x 8 mm, del peso di 1,43 grammi (per l’appunto denominata “driver’s eye”). Un prodigio della tecnologia. Da chi sarà prodotta? Dalla Zero Noise, azienda elettronica acquisita dalla Racing Force Group, una società ligure con sede a Ronco Scrivia, sull’appennino ligure tra Genova e il Piemonte. Appennino ligure, non Silicon Valley.